16 ottobre 2009

16. Molimentu


A Perdas, nella lingua sarda, quando si indica un paio, come quantità è un numero indefinito, non significa esattamente “due” in senso stretto. Così di volta in volta può significare qualsiasi numero ma quasi mai “due”. Ne prendo una “pariga” diventa il numero X che farebbe impazzire qualsiasi matematico. Però funziona alla perfezione. La precisione è cosa alquanto sconosciuta in certi luoghi. Antonio S. o meglio “Pariga” faceva corrispondere al sopranome tutto. Era incerta la sua età, la sua altezza, il nome di suo padre. Non era sardo, ma apprese subito la nostra lingua, il calabrese e il sardo si accoppiavano perfettamente nella sua parlata. Del suo comportamento ricordo che era estremamente variabile, incerto e ondivago quasi godesse a combinarne sempre di nuove. Il “Rosso Malpelo” di Verga, avrebbe avuto molto da imparare da Pariga! L’unica cosa certa è che se c’era qualche movimento in giro, allora Pariga rispondeva presente all’appello. Era naturalmente calamitato per i guai e calamità permanente per noi suoi frequentatori. Era metà luglio, e la banda scorrazzava negli orti a mezzacosta a Molimentu. Il pomeriggio assolato era quello che faceva per noi, ci si riuniva per andare a caccia di incaute tartarughine o per provare a pescare qualche trota. In mezzo vi erano le nostre solite piccole razzie, qualche pomodoro, cocomeri e qualche grappoletto d’uva, tutto con gran disperazione dei proprietari. Avevamo adocchiato da un po’ un grande nespolo, sporgente su un vascone colmo di acqua per l’irrigazione, che lentamente stava portando a maturazione i suoi frutti. Pareva giunto il momento giusto per depredarlo. Io e Pariga, che eravamo tra i più minuti, salimmo sul nespolo e con delicatezza iniziammo ad alleggerirlo delle nespole in gran collaborazione con gli altri sette della banda ai piedi dell’albero. Incominciammo a fare i conti per spartirci un congruo numero di succose nespole e il tutto avveniva tra scherzi e schizzi d’acqua. Il gran sollazzo, ci impedì di realizzare che era giunto silenzioso l’anziano proprietario tra noi ed afferrato un lungo tutore di legno strappato ai fagioli, come un guerriero colpiva a destra e a manca. Ci fu il fuggi fuggi! Solo che io e Pariga non potevamo scappare. Non ci volle molto che zio Maurizio R. rivolgesse a noi due le sue attenzioni. Bestemmiando come un “sardo incazzato” e manovrando il tutore con destrezza, per non danneggiare il nespolo, cercava di infilzarci come tordi. Noi ci spostammo sulla parte più alta della pianta e zio Maurizio, per colpirci salì sul bordo del vascone…il resto è storia! In quasi settanta anni non aveva mai imparato a nuotare, il fondo era scivolosissimo a causa della lanugine verde e i suoi movimenti scoordinati non miglioravano le cose. Andò ripetutamente dentro e fuori dal pelo dell’acqua, noi resi spavaldi da quell’inaspettato bagno battevamo le mani e con la ben orchestrata regia di Pariga che dirigeva il coro prendemmo a canzonarlo. Stava annegando sotto i nostri occhi. Per fortuna il buon senso o che altro, ci fece rinsavire. Tirammo fuori zio Maurizio e fradicio lo mettemmo a sedere. Silenzio di tomba. Non c’era nulla da aggiungere, avevamo combinato una gran porcata e non c’erano attenuanti. Però il divertimento c’era stato anche se stava finendo tutto in modo tragico. Girammo molto lontani da quei posti per molto tempo e zio Maurizio avrebbe pagato chissà che volentieri per metterci le mani addosso. Anche Pariga ne sa qualcosa! Rimase con la banda circa due anni e poi venne trasferito nel norditalia, come un pacco postale insieme al suo presunto babbo. Mi rammento che Pariga sembrava sempre elettrizzato, se lo toccavi pareva vibrare per l’eccitazione, era più forte di lui. Non si scaricava, qualsiasi cosa accadesse. Era il nostro lievito e noi lievitavamo felici in terra foghesina come sa moddigina che preparavano le nostre mamme.

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