16 ottobre 2009

1. Foghesu


Tutti i viaggi iniziano con un piccolo passo. Il mio viaggio è incominciato a Perdasdefogu o Foghesu in terra di Sardegna, come piace a noi del posto. Il ventotto luglio del cinquantacinque sono nato nella modesta casa dei miei genitori, in periferia quasi campagna. Mi ha visto nascere Signora Ida, la levatrice. Era normale nascere nel proprio paese. Adesso nascono tutti negli ospedali o nelle cliniche specializzate. Ero un bel bambino, simile a tanti altri. Ho ancora negli occhi il corredino ricamato da mia mamma, il girello in legno dei primi passi e la culla lettino. A mio padre, il nome Walter era particolarmente caro, per cui me lo diede di buon motivo. Conservo qualche fotografia dell’anno cinquantasei in cui vi sono io con un bel cartello a scritte maiuscole, per cui ho appreso quasi subito di avere il nome completo di Gian Walter ma solo per la chiesa. Senza il Gian, non mi avrebbero battezzato! Per la chiesa la forma era sostanza…non esistevano santi di nome Walter. In municipio, mi sono preso la soddisfazione di verificarlo, con bella grafia sono registrato solo Walter. Tutti mi conoscono così. Mia madre Amelia, casalinga si ingegnava a fare la sartina, e non mi faceva mancare mai i corredini e i vestitini da lei ideati e cuciti. Le sue amiche mi regalavano spesso dolcetti e quando facevano il pane in casa, per me arrivava puntuale sempre la “cocolletta” fragrante e tutta mia. Mio padre Peppino, era un carpentiere tuttofare, ha costruito con le sue mani la casa che per molti anni è stata il centro del mio universo. Avevo due grandi occhi neri e aperti sul mondo che mi circondava, una capigliatura folta e riccioluta che mi rendeva simpatico come un cucciolo di foca. Tutto bene. Olga, una cara amica di famiglia, mi portava volentieri a “ciùciù” cioè a spasso, ero il suo fidanzatino. Allora, il pomeriggio del tempo bello, specie in occasione delle feste, era un invito per tutti a darsi una pulitina, a tirar fuori gli abiti buoni e fare qualche vasca nello “stradone”, via principale di Foghesu. L’onore della famiglia era una cosa molto seria, pertanto le passeggiate vedevano i maschi con maschi e le femmine con le femmine. Le coppie regolari non avevano problemi di sorta. Gli sguardi furtivi e gli amori giovanili non mancavano. Ogni anno vedeva nuove coppie unirsi in matrimonio e nuovi pargoli allietavano il paese. I matrimoni si festeggiavano in casa, si mangiava e si beveva allegramente per alcuni giorni, si combinavano altri matrimoni e tutto aiutava a vivere secondo le costumanze civili. C’era ancora qualche uomo anziano che indossava il vestito tradizionale sardo, le donne in chiesa portavano il velo, le ragazze adottavano qualche tailleur scopiazzato da rari giornali che insegnavano cucito e taglio. C’erano tanti bambini, piccoli e grandi, il benessere del dopoguerra si affacciava anche a Perdasdefogu. Mi piaceva la vita di paese, tutti mi conoscevano e anche io conoscevo quasi tutti. Ogni tanto conoscevo qualche volto nuovo, erano ragazzi di Perdas che per vari motivi ogni tanto rientravano in paese, qualcuno era pastore, altri militari in “continenti”, alcuni studenti in città. A Foghesu c’erano i militari assegnati al Poligono, quasi tutti in uniforme, la maggior parte giovanissimi e altri anziani. Le famiglie dei militari erano distribuite più o meno equamente in tutto l’abitato. Le strade interne non erano asfaltate, qualcuna era acciottolata, quelle esterne con Jerzu e con Escalaplano rigorosamente sterrate, polverose o fangose e con cumuli di ghiaia ai bordi. L’illuminazione rara e fioca pioveva sulle viuzze dai portalampade a bandiera, era un po’ tutto spettrale. L’alternativa era il buio pesto oppure notti meravigliosamente terse e rischiarate da una luna pulita accompagnate da stelle come spilli luminosi sull’orbace scuro. Non si conosceva l’inquinamento luminoso! L’acqua potabile al rubinetto e fognature efficienti erano di là a venire… cose che neanche i più benestanti sognavano. Le case erano modeste ma pulite, tanta calce a imbiancare e molta terra per legare i muri in pietra. Foghesini e animali cominciavano a far comunella con i primi rumorosi automezzi che si intravedevano i quegli anni a Perdasdefogu. Da casa dei miei genitori, guardando a est si vedeva in lontananza il mare e molte coltivazioni di grano erano nelle vicinanze. A nord potevo vedere il Gennargentu, la nostra montagna più grande. A ovest le aspre dorsali del monte Santa Vittoria. A sud il tavolato del Salto di Quirra. Si viveva di stentata agricoltura, di strenua pastorizia e di qualche piccola rimessa di emigranti o pensionati. Il cambiamento arrivò con i militari. Non ci volle molto a comprendere che il futuro di Perdasdefogu era stato repentinamente cambiato. Da puntino sconosciuto sulla martoriata terra di Sardegna, sarebbe ben presto diventato un nome conosciuto e pronunciato in luoghi insospettabili. Cambiava il futuro di Foghesu e di tutti i foghesini, me compreso. Ogni tanto si udiva ronzare sulla testa un elicottero, era una novità che avrebbe col tempo resa consueta la presenza dell’Aeronautica Militare ai foghesini. Il cinema della Base, ci avrebbe mostrato immagini del paese dall’alto e, un ingenuo film girato ad arte avrebbe mostrato all’esterno della nostra comunità quali erano i rapporti tra il foghesini ed i militari come nuova realtà. In un brullo altipiano tra l’Ogliastra e il Sarrabus nella Sardegna sud orientale ho vissuto molti dei miei giorni tra il retaggio antico della cultura dei miei avi e il nuovo pensiero portato dai continentali.

1 commento: