16 ottobre 2009

8. Cose da bambini


All’età di quattro anni, mi piaceva l’avventura e così puntualmente quasi ogni giorno, facevo il mio viaggetto quotidiano, nel tardo pomeriggio andavo allo “stradone” e mi sedevo dove c’era la fermata della corriera che giungeva da Cagliari. Salutavo tutti e tutti mi salutavano. Mi piaceva prendere “a gratis” il pullman. Arrivava con il solito rumore ansimante e scaricava puntuale militari straniti e gente di Perdas che per vari motivi aveva bisogno di spostarsi. La motorizzazione privata era quasi completamente inesistente. Quasi tutti scendevano alla fermata del Bar di Mariolina, io salivo. Ero ben conosciuto dal personale viaggiante delle autolinee Satas, sia dai conducenti che dai bigliettai, mi chiedevano sempre dove volessi andare ed io indicavo sempre una capitale europea diversa. Le conoscevo a memoria tutte quante. Circa trecento metri e facevo la prima tappa del viaggio, scendevo alla fermata Satas del Bar Depau. Da lì, felice tornavo a casa quasi sempre gustando caramelle ricevute in regalo. Da poco avevo avuto un fratellino, l’avevano chiamato Giancarlo, ma per me e per la maggior parte era Carlo. A quei tempi non mi era molto simpatico, avevo ribaltato più volte la sua culla, e forse sempre per gelosia avevo cercato di spingerlo nel fuoco del caminetto. Lui ha una piccola traccia di una ustione su una mano, ma dubito che io ne fossi stato la causa. A parte tutto, mi seguiva sempre come l’ombra ed eseguiva tutto ciò che gli chiedevo. Non era spione e se necessario coraggioso. Giocavo volentieri con lui. Ricordo che facevamo grandi discorsi sulla potenza e la velocità delle macchine militari che si vedevano girare in paese, ma non capivamo come mai la velocità non aumentasse con le dimensioni. Più era grande e più andava lento. Un autocarro militare enorme era più lento di una campagnola piccola. Era un controsenso, “tutti” sapevano che un uomo grande correva più di un bambino! Si facevano discorsi del tipo “cosa farai da grande?”. Se io sceglievo di pilotare un aereo anche lui voleva pilotare, ma non ci era chiaro il concetto di secondo pilota. Se sceglievo di guidare un autocarro, lui avrebbe dovuto caricare la sabbia e non poteva guidare. Si finiva per litigare. Allora interveniva mia madre e con la scusa di raccontarci una storia, finiva per sconfortarci ancor più. Anche le mamme sono cattivelle? Ricordo che scherzando ci diceva “bambini state attenti, devo dirvi un cosa molto importante…” Noi pur sapendo come andava a finire, ci mettevamo a sedere e raddrizzavamo le orecchie. “Uno di voi non è mio figlio!” continuava mia madre semiseria. Io baldanzoso affermavo, rivolgendomi a Carlo “Tu non sei mio fratello, non vedi come sei diverso da me, io sono grande e scuro di pelle mentre tu sei piccolo e bianco”. Era tutto un pianto, mio fratello diventava una fontana. Poi all’improvviso, mia madre affermava perentoria “Mi sono sbagliata, è Walter che non è mio figlio!”. Carlo smetteva di piangere ed io come sempre correvo a rintanarmi sotto il lettone a meditare sulle mie sfortune. Al che mia madre ristabiliva l’ordine convincendomi ad uscire dicendo che era tutto uno scherzo e come sempre ci cascavamo come polli. Io sapevo perfettamente come procedeva la storia, ogni volta era la replica della stessa cosa, per cui ne ero sempre infastidito. Nella fotografia che ci giunse a casa c’eravamo io e mio fratello Carlo. Arrivò in una busta color celeste e aveva un bel francobollo del “Royaume de Belgique” ed intestata ad un certo “Monsieur Walter Cortas di anni sette abitante in Perdasdefogu rue PizzuTaccu”. Era la prima volta che ricevevo una lettera, per di più da un posto talmente lontano che c’era di mezzo il mare. Ero dispiaciuto che il mio cognome fosse stato storpiato da Carta a Cortas, quando avrei mostrato la busta ai miei amici questo sarebbe stato qualcosa che mi avrebbe creato qualche problema, c’era sempre chi era pronto a canzonarti per ogni stupidaggine. Quando la foto giunse a casa, eravamo entrambi ammalati di varicella, a quei tempi quando un bambino prendeva qualche malattia infantile, come scarlattina, orecchioni o altro si finiva confinati in casa tutti insieme, si stava un po’ male ma in compenso si trascorreva molto tempo a giocare con fratelli, cugini e amichetti da contagiare e immunizzare. Carlo ed io, neanche dieci anni in due, io sei e lui tre. Fotografati in piazza di chiesa, sui gradini di accesso alla piazza, rigorosamente a piedi scalzi e in maglietta estiva tipo marinaretto. Un turista di passaggio colse in quello scatto molto di più di quanto riesco io a descrivere. Eravamo un po’ selvatici, malgrado le buone intenzioni di mia madre. Tutto ci portava fuori all’aperto, c’era poca o nessuna televisione sempre accesa, c’era voglia di stare insieme. Dell’asilo ho ricordi vaghi che mi conducono alla maestra Teresina e al tempo dedicato al riposino obbligatorio. Dell’asilo mi piaceva tutto o quasi, in primis la refezione e i giochi, ci facevano giocare tanto senza crearci le ansie attuali che vogliono bambini impegnati in corsi, attività didattiche o altre cose astruse. Quasi sempre all’asilo si imparava “s’italianu”, anche l’asilo aveva le sue regole, avevamo il grembiulino cucito con la Singer a pedale e rigorosamente non griffato, bisognava sempre alzare la mano per poter parlare o fare qualcosa, bisognava aiutare i bambini più piccoli e imparare le canzoncine. Chi non rispettava le regole veniva punito. Se parlavi in sardo venivi punito. Se ti facevi la pipi addosso ricevevi qualche bacchettata sul palmo delle mani. A me andava piuttosto bene perchè parlavo sempre in italiano e prima di entrare all’asilo mi preoccupavo di fare la pipi strada facendo onde ridurre al minimo i rischi. Si faceva presto ad abituarsi a rispettare l’autorità delle maestre. Erano le didattiche e le filosofie formative di quei tempi. Io come tutti i miei compagnetti, andavo matto per le passeggiate scolastiche. Così, mano nella mano se c’era bel tempo, ci portavano nelle immediate campagne. C’era tanta voglia di crescere e di giocare nei bambini foghesini. A quei tempi, non avrei mai immaginato che da adulto in qualità di Sindaco mi sarei occupato della scuola materna, per favorirne e realizzare l’accorpamento delle le strutture tra il pubblico statale e il privato Esmas, ma queste sono cose recenti.

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