16 ottobre 2009

11. Carbonia mon amour


Non era una punizione ma poco ci mancava, per me non era particolarmente gradevole andare a Carbonia. Non che avessi chissà quali remore personali, ma la mia permanenza in quella cittadina ex mineraria è sempre stata accompagnata da evocazioni non proprio positive. Ancora oggi, mi pare che soffrissi di libertà di movimento, anche se forse era dovuto alla mia giovanissima età. Ci andavo raramente con mia mamma, li abitavano Nonno Vittorio e Nonna Agatina insieme a qualche mio zio. Della loro casa mi ricordo solo una sorta di vaschetta in muratura che tenevano per la provvista dell’acqua e un non ben precisato fornello in cui si cucinava con il carbone. Mio nonno era stato minatore, come anche mio padre e tanti altri sardi di quei tempi. I miei primi ricordi, parlano di una bella sforbiciata che mi feci volontariamente ai capelli. Per pareggiarli in qualche modo mi venne fatto un taglio quasi a zero, a unovirgolaqualcosa. Ero come un piccolo riccio, in contrasto ai capelli fluenti che si lasciavano crescere ai bambini. Non ero molto interessato al mio aspetto. Un giorno, riuscendo a sottrarmi al pressante controllo che facevano su di me, riuscii a scappare in un vialone tutto alberato. Ricordo il senso di libertà, l’affanno della corsa e le successive botte ricevute per essermi allontanato. Forse Carbonia con le sue regole non era propriamente adatta a me bambino di Perdasdefogu. Vi tornai qualche anno dopo, ospite di Zio Fiorenzo e di zia Chicca, dovevo prendere qualche ripetizione di lingua inglese. Mentre il luogo continuava a darmi sui nervi, mi piaceva seguire le faccende di zia Chicca. Era piacevole sentirla parlare e seppure a volte rigida nelle sue decisioni, era molto affettuosa con la sua famiglia e anche con me. Come sempre accade ai bambini, mi era capitato di pensare che mi sarebbe piaciuto vivere per sempre in quella casa ordinata e ben tenuta. Mia cugina Anna era una bella ragazza, mi piacevano i capelli castani e il profilo del suo naso. Avevo deciso che era la cugina più bella che avessi mai avuto. Non ricordo di aver mai intrapreso con lei alcun ragionamento, avevo l’impressione che non avessimo niente in comune a parte il cognome. C’era il fratello Paolo, di qualche anno più grande di me. Non apprezzavo molto il suo carattere spesso autoritario, però lo ammiravo per la sua bravura nella pesca subacquea e perché mi regalava tante cose senza chiedergliele. Amava difendere a spada tratta e senza alcuna esitazione, il fratello minore chiamato da mio zio “Marcone”. Paolo copriva volontariamente alcune marachelle di Marco, che io ben conoscevo perché le aveva fatte davanti a me. Era il fratello maggiore che tutti avrebbero desiderato me compreso. Marcone era il compagno ideale, leggermente indolente, intelligentissimo, era molto amato in casa e stimato dai suoi amici che ben presto divennero anche i miei. La casa degli zii faceva parte di una serie di comode costruzioni, forse risalenti agli anni del boom minerario, che erano abitate da ex minatori passati alle dipendenze dell’Enel. C’era molto verde in quella zona residenziale, molti eucaliptus altissimi e piante che ai miei occhi parevano esotiche. In una di quelle case abitava “Danieledda”, una graziosa ragazzina, credo che il suo nomignolo fosse la contrazione di Daniela Ledda, di certo so che trascorreva molto tempo con noi maschietti perché aveva una passione incredibile per il calcio. Non solo amava questo sport ma lo praticava meglio di tutti noi, era un centravanti incredibilmente brava e ai rigori nessuno parava i suoi tiri. Persino a me che di calcio non ne ho mai fatta malattia, mi piaceva da morire questa ragazzina che aveva fatto rete nel mio cuore. Carbonia divenne il centro di tutto il mio universo. Ci vuole poco a cambiare idea. Tra i nostri passatempi pomeridiani c’era quello di fare qualche scherzetto alle spalle di anziani pensionati . Un pacchetto regalo ben confezionato con la carta dell’UPIM veniva lasciato su un marciapiede bene in vista e quando qualcuno cercava di raccoglierlo, con una funicella nascosta veniva allontanato dalle mani dell’occasionale raccoglitore. Ci divertivamo come non mai a quegli scherzi ingenui, io però pensavo che cose del genere potessero capitare solo a Carbonia, ero persuaso che a Perdas non ci sarebbe cascato nessuno. C’era un gioco che consisteva nell’interpretare le sigle, per esempio dicevano che UPIM significasse “unione per imbrogliare meglio”, che SATAS volesse dire “sarai ancora trasportato a sbafo…” e così via di seguito. Mi parevano anche allora scematine! Un pomeriggio a qualcuno venne l’idea di mettere un water in ceramica al centro di un incrocio, era un bello scherzo. Tutte le autovetture che passavano ci giravano intorno come una rotatoria. Come sempre di nascosto ci godevamo la scena finché una “apigedda” (motocarro) ci gira intorno, si ferma, torna indietro, scende un uomo, si guarda intorno e rapidamente carica sul proprio trabiccolo il water. Cose da “candid camera!” . Mio zio portava spesso Paolo, Marcone e me sulla stupenda spiaggia di Porto Pino. Al tempo non c’erano molte costruzioni, era come dire ancora vergine. Paolo si immergeva con la muta in neoprene e fucile da pesca per prendere immancabilmente gronghi e murene insieme ad altri pesci. Marcone faceva l’esploratore marino in lungo e largo sulla spiaggia intanto che zio Fiorenzo posizionava la sua canna da pesca. Io seduto vicino, imparavo che sabbia in inglese si dice “sand” che mare si dice “sea” che nave si dice “ship” che il vento era “wind”. Mi piaceva ascoltare mio zio che diceva cose che di li a poco voleva sentire da me. Mi parlava calmo e rilassato, ed io come una spugna assorbivo tutte le cose che mi insegnava. Era molto portato per l’insegnamento. Spiegava bene, non forzava la mano e al contrario di come facevano molti insegnanti ti dava soddisfazione. Mi ricordo molte cose da lui apprese in quei tempi, qualcuna è diventata cosa mia. Diceva che tra le persone”deve esistere la comunicazione, non basta trasmettere o ricevere come fa la radio, bisogna entrare in sintonia con il cervello”. Ho avuto mille e mille volte la conferma delle sue avvedute parole. Mio zio non c’è più, ma i saperi che mi ha donato in quei giorni sono ancora presenti in me. Mi mancava però tanto Perdasdefogu, era difficile starne lontani. Così a fine estate rientrai felice a Foghesu, il paese dei missili.

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