16 ottobre 2009

5. Raccolta differenziata


Sa Festa de Santu Sarbadori o più precisamente la Festa del Santissimo Salvatore è sempre stata la ricorrenza religiosa e pagana insieme più attesa dai foghesini. I festeggiamenti cadono a cavallo della prima decade di settembre, culminante il giorno dodici quale momento principe dedicato alla sagra che porta alla omonima chiesetta campestre. Noi tutti aspettavamo con ansia questa ricorrenza, che conteneva in se l’usanza di ospitare “unu strangiu” cioè un forestiero nelle nostre case, offrendogli possibilmente vitto e alloggio adeguato alla qualità dell’ospite e alle nostre talvolta misere disponibilità economiche. C’era la processione con il Santissimo che usciva dal paese, sempre seguitissima dai credenti e dai curiosi, i botti pirotecnici del fuochino pagato all’occorrenza, la messa nella chiesetta sempre stracolma di fedeli accaldati e agghindati per la festa, gli onnipresenti carabinieri, tanti militari delle tre armi tirati a lucido. Mi piacevano i marinai con la loro divisa bianca immacolata anche se non capivo cosa ci facessero in un posto dove il mare si vedeva all’orizzonte lontano quanto mai. La questione della strada per Tertenia, realizzata in tempi recenti dai militari, riempiva la bocca di coloro che impazienti spiegavano agli scettici quanto e come sarebbe stata utile questa via di comunicazione. Diventavano tutti progettisti e geometri… Per me il mare era quasi una irraggiungibile chimera, mi affascinava come tutte le cose che venivano da fuori. Da fuori venivano i militari con le loro famiglie, i grandi autocarri verde oliva che trasportavano cose chiamati missili da lanciare, giocattoli, libri con tante figure. Sembrava che tutto fosse bello. Vedevo il mio paese crescere, le case farsi più accoglienti, l’acquedotto, l’illuminazione delle strade e delle case. Molti dicevano convintissimi che Perdas aveva il futuro assicurato. In casa, i miei genitori mi hanno sempre parlato in italiano, naturalmente capivo il sardo perfettamente ma ho sempre avuto qualche problema a parlarlo. Questo mi ha favorito molto nei miei rapporti con la scuola, anche grazie all’impegno profuso da Maestro Attilio Demontis che mi ha sempre seguito alle elementari. Tra i miei compagni c’era Mariano G., svelto e fidato come un levriero, quarto di otto fratelli e sorelle, era il mio preferito. Credo fosse originario di Quartu Sant’Elena, come suo padre maresciallo dell’Esercito. Con Mariano trascorrevo molte ore a scuola e quando capitava andavo a casa sua perché era uno dei pochi fortunati in paese che possedevano una televisione. Mi ricordo che avevano anche un frigorifero che era una goduria, c’erano sempre tanti panini con mortadella e patate fritte, sembravano non finire mai. In quella casa c’erano tante bocche da sfamare e quella era una soluzione apprezzata da tutti. La madre di Mariano era sempre ai fornelli o almeno così appariva ai miei occhi. Mentre i genitori mi trattavano piuttosto bene, ero talvolta preso di punta dalle due sorelle più grandi del mio amico. Era accaduto che più di una volta mi avessero dato informazioni volutamente false sulla presenza in casa del mio amico. Non erano affidabili. Una volta sentii la madre di Mariano riferirsi alla figlia dicendogli “non farai la fine di Millelire! Se non righi dritto entri in collegio…” Non feci molto caso a questa frase, in quanto era normale per tutti i giovani maschi e femmine ricevere minacce per il proprio comportamento. Però la parola “Millelire” mi aveva colpito. La sentii nuovamente mentre giocavo con Mariano a “Funtana e su Putzu” vicino al lavatoio comunale, questa volta era stata pronunciata da alcuni soldati presenti per la festa di Santu Sarbadori. Né io ne il mio amico sapevamo di cosa si trattasse, per cui senza esitare chiedemmo spiegazioni. I soldati ci dissero che erano cose da grandi e che noi eravamo “criature”, sarebbe arrivato il tempo giusto per comprendere, adesso era troppo presto. La cosa non finì lì. Come sempre accadeva, in occasione della Festa del Salvatore, arrivavano e si collocavano lungo lo “Stradone” principale alcune bancarelle. Vendevano torrone e dolciumi vari, articoli per la pastorizia e l’agricoltura e tra le tante cose giocattoli. Tutto questo era per noi il paese dei balocchi. Quante cose avremmo voluto avere, almeno qualcosa diveniva nostra attraverso un regalo di genitori e parenti nonché padrini. Era una goduria stare per ore a vedere ed osservare quei giochi spesso fatti di lamiera stampata che rappresentavano automobili vere, pistole che schizzavano acqua, girandole coloratissime. C’era da perderci la testa. Come al solito tutto ha un prezzo, quei giochi tanto bramati avevano il loro prezzo e per pagarli bisognava avere denaro. In quei tempi, noi ragazzini avevamo una occupazione a dir poco ecologica, facevamo una specie di raccolta differenziata, durante l’anno si raccoglievano in giro per il paese rottami di rame e di alluminio con lo scopo di convertirli in denaro quando sarebbe giunto “Su Reigeddu”. Possedeva una bancarella ampia, tra le più grandi presenti per la festa. L’uomo arrivava su un vecchio camioncino malconcio ma per noi era come Re Mida perché acquistava a peso il rame e l’alluminio ed in cambio ci dava del denaro che noi si spendeva prontamente nella sua bancarella. Me lo rammento, piccolo di statura, con il volto olivastro segnato dalle rughe, sempre serio e cortese nelle contrattazioni di vendita e sempre disponibile a farti lo sconto quando acquistavi. Potrei definirlo un attuale venditore Ebay affidabile al cento percento. Ricordo che se per caso il valore del metallo che acquistava era molto basso, di suo aggiungeva sempre qualche lira, non ti lasciava andar via scontento. Le mie cento lire spesso giungevano grazie ad un meritorio dieci trascritto da Maestro Demontis sui miei quaderni color nero lucente bordati di rosso cupo. Mi pare di vederli, fortunato tra i fortunati a non dover utilizzare quell’infernale inchiostro in boccette e pennini vari grazie ad una donazione che ci vide destinatari di penne BIC! Queste erano le nostre dotazioni finanziarie, pochi soldi da spendere oculatamente. Quei giorni avevano sollecitato tante domande sulla storia di Millelire, ma finalmente avevamo scoperto che tale nome si riferiva ad una bella ragazza abruzzese che era in paese da qualche mese. Era la cognata nubile di un sottufficiale dell’Esercito che trasferitosi a Perdas per servizio l’aveva portata in paese per compagnia della giovane moglie. Una ragazza alta, castana, che quando passava per le vie di Perdas infiammava molti giovanotti e non solo. Come quando si sfila un barattolo di pomodori da una catasta e tutto viene giù, nel giro di poche ore sapemmo che la giovine esercitava saltuariamente l’antica arte. Millelire era quanto dovuto per le prestazioni. Non che ci fosse un moralismo becero e stantio, ma era evidente che se le attenzioni della Signorina erano rivolte ai giovani soldati presenti di guarnigione in paese, nessuno avrebbe sollevato questioni…diversamente…Ora alla mia banda era giunta voce che Millelire a breve sarebbe partita e forse mai più ritornata per cui tanto valeva provarci. Noi eravamo ragazzini, ma la cosa ci intrigava alquanto. La riunione della banda fu sollecita nel decidere, si spacco a metà, io e il gruppo dei più grandi decidemmo di avvalerci delle prestazioni di Millelire, sempre che lei fosse stata consenziente, gli altri rinunciavano perché piccoli di età e decisamente interessati ai giochi di Su Reigeddu. “Fisietto” e “Mariomario” andarono a sondare il campo e trattarono con la Signorina, per lei era OK, pagamento anticipato con sconto giacché aveva accettato sole novecentoquindici lire, da noi messe insieme con tanti sacrifici, rispetto alla tariffa che le aveva segnato il nomignolo. Verso le ore diciannove dello stesso giorno, sul tardi, la banda si diresse in ordine sparso verso “Funtana e Susu” e da li a “Piscina Manna”. Millelire era li che ci aspettava, parve arrabbiata, ci contò come fanno le maestre, diceva che sembrava l’asilo infantile. Eravamo tredici, sei grandicelli e sette piccoli. Però bisognava rispettare i patti. I piccoli rimasero vicino al ponticello in pietra, noi altri sei andammo con lei dietro un grosso corbezzolo. Lei si spoglio, dicendoci che avrebbe fatto quella cosa con solo due di noi, gli altri potevano guardare. Io e altri tre guardammo. Era una cosa molto diversa da come mi ero immaginato, quasi stavo rimpiangendo i miei soldi spesi in quel modo. Mi parve il tutto un po’ deludente, anche se interessante come novità. Non mi sembrò personalmente cosa di cui non poter fare a meno, questa fu l’impressione. Finì tutto dopo circa un quarto d’ora. Millelire ci disse che per noi ci sarebbe stata una altra volta. Non ci fu un’altra volta, Millelire partì con la vecchia corriera per Cagliari qualche mese dopo. Molti si ricordano di Su Reigeddu, qualcuno si ricorda di Millelire che per un po’ divenne la nostra “Reginedda” nonché accorato argomento di discussione. Poi la realtà di paese superò gli eventi e anche lei divenne un ovattato ricordo. La festa è la stessa di sempre ma sembra manchi qualcosa. Adesso la raccolta differenziata funziona diversamente.

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